Into the Wild

AVVERTENZA: il post contiene elementi della trama e pure il finale del film!!!

L’altra sera sono stata al cinema con Rupert. Non pensiate che il mio cilindrico amico sia uno da film porno, perché è stato lui a propormi la visione di Into the Wild, anche se è probabile che il titolo gli avesse suggerito qualche fantasia erotica.

Pur essendo giunti con quindici minuti buoni d’anticipo sull’orario di inizio, c’era una coda che si snodava da piazza S.Matteo fino all’ingresso dell’Ariston: trattandosi di Genova, a vedere tanta gente in attesa per strada c’era da chiedersi se regalassero qualcosa.

Una volta entrati in sala la situazione è parsa subito disperata: erano rimaste libere solo le prime tre file, che abitualmente vengono occupate da Mr. Magoo e il ragionier Filini. Ci siamo rassegnati a prender posto al centro della terza fila, e già durante la presentazione dei trailers era del tutto evidente che sarebbe stato impegnativo tenere le cornee attaccate allo schermo per due ore e mezza, la durata della pellicola: a quella distanza quando, per esempio, guardi qualcosa che appare in alto a sinistra, sei costretto ad ignorare tutto ciò che avviene in basso a destra, e a nulla servirà correre veloce con lo sguardo da un estremo all’altro dello schermo, perché arriverai sempre troppo tardi, come è avvenuto per le scritte (bilingue) che compaiono sovrapposte alle immagini, neppure l’italiano facevo in tempo leggere. Per non parlare dell’anomala pressione cervicale inevitabile quando guardi in alto per 150 minuti. Fortunatamente non c’era la solita puzza di muffa che caratterizza i cinema genovesi seminterrati, o più probabilmente avevo ben altri problemi per accorgermene.

Il film inizia con il giovane Chris, 23 anni, che dopo la laurea decide di abbandonare la famiglia per girare gli Stati Uniti e infine di ritirarsi dal mondo in Alaska, disgustato dalla società e dai propri genitori superborghesi: dona in beneficenza tutti i suoi risparmi e parte a piedi e senza denaro, solo. Ammetto che ero un pelino prevenuta perché immaginavo fosse la solita storia di ribellione giovanile che forse poteva esaltarmi solo a diciotto anni; ero prevenuta anche con Sean Penn, per due motivi che a molti appariranno stupidi: picchiava Madonna quando erano sposati, e poi perché non dorme mai, odia perder tempo a dormire. E mettiamoci pure quella faccia da mascalzone autocompiaciuto (di recente la moglie pare l’abbia trovato ubriaco a letto con due russe). Ecco, non fa simpatia.

Quando lo schermo del cinema ti fa quasi da lente a contatto, ti sembra di essere davvero “dentro”: sul train, sulla beach, nella snow, nel wild, e anche sulla faccia dei protagonisti, c’erano così tanti primi piani macro che avresti potuto schiacciargli un punto nero sul naso, sembrava che Sean volesse entrargli dentro i pori con la cinepresa. E che dire di Chris tutto solo in Alaska, neve e ghiaccio dappertutto, un fucile al posto del frigo pieno di casa? Quando spara all’enorme alce penso: che cazzo fai Chris? Spara a qualcosa che non ti avanzi nel piatto!! Infatti poi gli va tutto a male e lui si strugge di rimorsi, va ben che spara agli animali ma solo per sfamarsi. Con tutta evidenza non si deve essere lavato per l’intero inverno, ve lo immaginate cosa significa niente doccia e niente bidet per sei mesi? Ecco, la puzza di montone veniva quasi fuori dallo schermo.

A questo ragazzo, di cui si narra la storia vera, la gente piaceva poco, mentre lui piaceva molto a tutti (tranne al tizio delle ferrovie che lo pesta nel mortaio finché non sprizza sangue), un vecchietto se lo vuole persino adottare (il punto più commovente del film, sentite persino il cuore che gli scoppia di dolore e il calore della lacrima che trabocca dall’occhio); addirittura una bellissima fanciulla sedicenne, con le gambe così lunghe da non entrare nello schermo, gliela mette su un piatto d’argento e lui nisba, perché lei è minorenne: il buon Chris non era normale, era in odor di santità.

Finisce che Chris è nella merda fino al naso: stare soli in un posto meraviglioso perde senso perché l’esperienza non è condivisa (ha impiegato due anni per capire che gli altri sono importanti), ma quando decide di tornare a casa, arriva tutta insieme la sfiga che non ha avuto in ventiquattro mesi di vagabondaggio: il torrentello attraversato all’andata è diventato un fiume impetuoso non più guadabile, e manca poco che ci affoghi, non c’è più uno straccio di animale a cui sparare, per disperazione mangia una pianta che poi si rivela velenosa e, come si suol dire, ce l’ha nello stoppino. Finale triste, tristissimo, ma non puoi fare a meno di pensare: cazzo Chris, va bene fare i contestatori, gli alternativi, i naturalistici, ma almeno con un 118 nei paraggi. Muore, con una carnagione tipo La sposa cadavere, sognando di abbracciare  mamma e papà.

Morale. Attenti genitori a come amate i vostri figli: che non sia troppo, che non sia poco, e che sia soprattutto come i figli si aspettando che sia.

 

5 pensieri su “Into the Wild

  1. questo e’ il primo post che contesto.
    1.manca l’avvertenza che racconti il film finale compreso
    2.Sean Penn ha gia’ provato da anni ed in piu’ occasioni di essere un bravo film-maker
    3.trovo molto errato quella frase/consiglio finale rivolta ai genitori
    Lo so che incorrero’ nelle tue ire ma hey! Questo e’ quello che penso. Ciao. Lorasandes

  2. 1.rimediato
    2.Sean continua a non essermi simpatico anche se il film è stato bello
    3. è solo quello che penso, per me tutt’altro che errato: ogni figlio ha bisogno di modalità d’amore che gli sono specifiche, appartiengono a lui soltanto, e la difficoltà è proprio quella di capire come si vuole essere amati. Ognuno è libero di dissentire, questo è quello che vedo intorno a me, e che ho percepito nel film

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